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Il "Carlo Braccesco" è da considerarsi davvero uno degli apici della scrittura d'arte del Novecento; destinato, tanto per la sua iperletterarietà, quanto per la soluzione rabdomantica del finale e per l'ossatura e l'articolazione dell'indagine, a diventare rapidamente oggetto privilegiato di culto e, allo stesso tempo, simbolo totemico da abbattere. Ma il saggio finale del 1942 è il frutto di una lunga gestazione, che l'edizione critica di Facchinetti (arricchita anche da un Dossier di appunti, prime stesure e lettere) documenta con attenzione e precisione, riportando insieme al testo finale anche la testimonianza completa delle due fasi che lo hanno preceduto e costruito. Non subito infatti a Longhi si delineò con chiarezza la soluzione dell'enigma attributivo: nella prima versione del testo, che risale al 1925 e che porta il titolo di Maestro Raro, il problema dell'identificazione dell'autore del trittico del Louvre viene impostato, ma non risolto.